Piedi nell'acquaRaccontare storie, tante storie, senza l’appiccicosa nostalgia per quei “bei tempi andati” in cui si era poveri ma belli, piuttosto con i toni e il registro tipici di una lunghissima serata in compagnia – e nottata, mattino pomeriggio e nuovamente sera – appoggiati con i gomiti a un vecchio bancone di un’osteria, sempre con un goccio di rosso nel bicchiere. Cecco Bellosi fa questo, raccoglie e poi racconta, e il lettore si sente ubriaco spettatore di una voce narrante che può far ridere e velare gli occhi di sincera commozione nel giro di qualche minuto, raccontando di questa o quella vicenda. La stessa voce sale e scende di registro, si eccita o si smorza, rimbomba o pare divenire un sussurro in quell’osteria immaginaria che viene approntata nella testa del lettore: una di quelle autentiche, “non di quelle sfiziose che appaiono su una guida capace di esaltare le contraddizioni della sinistra postcomunista, privilegiando la puzza sotto al naso agli odori intensi della cucina ruspante.”

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